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Mattarella: l’apertura dei mercati è un valore da mantenere
Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaTra Italia e Giappone c’è una «collaborazione piena basata sul rispetto e la fiducia reciproca. Sono principi e valori che auspichiamo vengano mantenuti e sviluppati nella comunità internazionale: sono quelli dell’apertura dei mercati, l’apertura alle cooperazioni vicendovoli nella consapevolezza di reciproco arricchimento e della interdipendenza che si crea e che sottolinea le condizioni per cui la pace è garantita nel mondo». Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine della sua partecipazione ad un evento alla sede di Confindustria Giappone a Tokyo alla presenza dei responsabili di imprese italiane e giapponesi.«Bene rapporti Ue-Tokyo grazie a eliminazione dazi»Il capo dello Stato ha poi sottolineato: «Oggi la integrazione tra i due mercati è sempre più stretta, grazie all’accordo di partenariato economico (Epa), siglato nel 2019 tra Tokyo e Bruxelles, che ha eliminato i dazi delle esportazioni europee verso il Giappone e viceversa, lontano da protezionismi di ritorno. L’economia giapponese, che si colloca tra le prime al mondo, si conferma così sempre più per il nostro continente interlocutore strategico, impegnata com’è anche nella costruzione di rapporti intercontinentali che sostengono la pace, la stabilità, la prosperità».Loading… LEGGI TUTTO
Dopo la svolta di Trump Meloni prudente, l’obiettivo in Usa resta zero dazi
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaL’attesa di una svolta c’era, ed è andata molto oltre le migliori previsioni: 90 giorni di sospensione dei dazi non cambiano, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, la portata della missione di Giorgia Meloni alla Casa Bianca. Che anzi, ancora più convinta, a Donald Trump chiederà di sedersi a parlare con l’Europa, con l’obiettivo che ora appare meno irrealizzabile, di creare quella grande area di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, con la formula ’zero per zero’ dazi.Lo sconcerto per le parole di TrumpLa giornata si apre tra lo sconcerto e l’imbarazzo per le parole del presidente americano, che accendono le opposizioni (la premier “abbassa la testa” e va lì “con il cappello in mano”): davanti a quell’espressione – “i leader pronti a baciarmi il culo”, che anche Matteo Salvini indica come «immagine abbastanza disgustosa» – nella maggioranza c’è chi sorride, chi non risponde, chi glissa come Antonio Tajani (“other question?”). Un tema che probabilmente i due vicepremier hanno affrontato anche con Meloni, in un confronto a tre poco prima del Consiglio dei ministri. La presa di posizione poco elegante del tycoon, assicura però il ministro degli Esteri, non cambia i programmi della premier che andrà a Washington «con la schiena dritta» a proporre di negoziare «sostenendo le posizioni europee».Loading…La diffidenza della FranciaUna precisazione più che dovuta, per il vicepremier, dopo che il ministro francese dell’Industria Marc Ferracci aveva dato voce alla diffidenza di alcune cancellerie nei confronti del viaggi della leader italiana. «Se cominciamo ad avere discussioni bilaterali il ragionamento di Ferracci, l’unità europea «rischia di spezzarsi». Parole che fanno scattare i ministri a difesa dell’azione di Roma: «Rispetto e reciprocità, cari amici francesi. Non ci sono nazioni di serie A e nazioni di serie B», dice subito il titolare degli Affari europei Tommaso Foti, chiedendosi come mai «quando il presidente Macron si reca a Washington tutto sembra andare bene, mentre quando è la Meloni ad andare invece no». Anche il titolare della Farnesina ricorda i diversi incontri del capo dell’Eliseo, convinto che i vicini d’Oltralpe «non abbiano capito lo spirito di questa missione». E nemmeno che «l’Unione europea è ben contenta che l’Italia vada a parlare per sostenere le posizioni europee».La retromarciaUna reazione che induce il governo francese a fare marcia indietro, con la portavoce Sophie Primas che assicura come non ci siano “preoccupazioni” per la visita italiana perché «tutte le voci che permettono un dialogo con gli Stati Uniti sono benvenute». Ma ora, con la frenata del presidente americano, lo scenario un poco si semplifica, si ragiona ai piani alti del governo, dove da qualche giorno sono sotto osservazione le proteste che lo stesso presidente americano sta fronteggiando in patria.Il sollievo della premierLa notizia rimbalza da Washington mentre Meloni sta andando al Quirinale per la serata di gala in onore dei reali britannici. E chi riesce a raggiungerla osserva, con un certo sollievo, che ora «non si va più con il coltello alla gola». Restano comunque le incertezze e la totale imprevedibilità delle posizioni degli Usa sulle tariffe commerciali. E se la missione nella sostanza risulta più semplice serve comunque “prudenza”. LEGGI TUTTO
La maggioranza ritira l’emendamento per lo stop ai ballottaggi nei comuni?
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl blitz in Senato per cambiare la legge elettorale per i Comuni con oltre 15mila abitanti abbassando la soglia al di sotto della quale si va al ballottaggio dal 50% al 40% è già rientrato: l’emendamento firmato dai quattro capigruppo della maggioranza al decreto elezioni sarà ritirato e trasformato in disegno di legge. L’annuncio arriva in serata dagli stessi capogruppo ed evita al presidente meloniano della commissione Affari costituzionali Alberto Balboni il fastidioso compito di dover dichiarare inammissibile l’emendamento. Lo stesso presidente del Senato Ignazio La Russa, interpretando certamente il pensiero del Quirinale, aveva infatti già dichiarato nei giorni scorsi la sua contrarietà allo strumento del decreto: l’articolo 72 della Costituzione, infatti, vieta di intervenire per decreto sulle formule elettorali.Ma se la maggioranza rinuncia al blitz per decreto non rinuncia certo all’obiettivo, ossia quello di rendere i ballottaggi un’ipotesi residuale puntando tutto sul primo turno: chiaro che ad essere penalizzato in questa fase politica è soprattutto il centrosinistra, che fatica a mettere insieme larghe coalizioni ma che poi spesso si ricompone al secondo turno. Un’allergia a tutto campo, quella del centrodestra al ballottaggio, che ha fin qui bloccato anche la messa a punto della legge elettorale per l’elezione del premier facendo finire su un binario morto la stessa riforma costituzionale, visto che il Ddl Casellati giace da mesi in commissione alla Camera dopo il primo via libera del Senato del giugno scorso. L’unico modo per assicurare al premier una maggioranza certa, come recita il testo del Ddl Casellati, è infatti quello di prevedere il ballottaggio tra i primi due arrivati se nessuno raggiunge una certa soglia: la stessa premier Giorgia Meloni è favorevole ad un secondo turno se nessuno raggiunge una certa soglia, individuata appunto nel 40% come quella che si vuole inserire per i Comuni. Ma Forza Italia e soprattutto la Lega di ballottaggio non vogliono neanche sentir parlare, sia esso vero o residuale, e guardano piuttosto al modello delle Regioni dove vige un turno unico con premio di maggioranza. Anche per questo il testo del Ddl Casellati è piuttosto vago sul sistema di voto: «La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio di base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio». Stop. Non è fissata una soglia al di sopra della quale può scattare il premio per evitare che sia abnorme (la Consulta ha stabilito negli anni scorsi che non può superare il 15%), né quindi viene previsto che cosa accade se nessuno la raggiunge.Loading…Ed è così che in queste ore, quando ancora il confronto all’interno della maggioranza sulla legge elettorale che dovrà sostituire il Rosatellum non è formalmente iniziato, spunta una sorta di “lodo Donzelli”: è il fidato deputato meloniano, infatti, a lanciare l’ipotesi che se nessuno raggiunge il 40% semplicemente il premio non scatta, consegnando una fotografia tutta proporzionale. «Una soglia va certamente messa, visti i noti paletti della Consulta – è il ragionamento che Giovanni Donzelli fa con i suoi -. Se non è possibile inserire il ballottaggio residuale si può lasciare solo il premio sopra il 40%». L’idea di fondo è che il turno unico spingerebbe all’aggregazione dei partiti e dunque al superamento quasi certo della fatidica soglia. Certo, a quel punto occorrerebbe in seconda lettura togliere la parola “garantisca” dal Ddl Casellati.Il “lodo Donzelli” potrebbe sbloccare l’impasse e portare all’approvazione di una riforma elettorale che potrà essere usata già alle prossime politiche anche nel caso in cui la riforma del premierato non fosse nel frattempo entrata in vigore (l’ipotesi al momento più accreditata è che il referendum confermativo si tenga a prossima legislatura già iniziata). Turno unico con l’obbligo di indicare il nome del candidato premier della coalizione sulla scheda elettorale: ce n’è abbastanza per mandare in tilt un centrosinistra non solo diviso e litigioso ma in cui non c’è una premiership riconosciuta da tutti. La segretaria del Pd Elly Schlein, incalzata dal leader 5S Giuseppe Conte, dovrebbe quanto meno sottoporsi al rito pur sempre rischioso delle primarie di coalizione LEGGI TUTTO
Il giorno dei dazi: ecco come Meloni si prepara a trattare con Trump
Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaOramai è questione di ore. Il presidente Usa Donald Trump annuncerà i nuovi dazi alle 16 locali (le 22 in Italia) nel giardino delle rose alla Casa Bianca. La stretta sulle tariffe doganali sarà immediatamente operativa. L’Italia si prepara all’impatto. La prospettiva di una guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti preoccupa, e non poco, il governo di Giorgia Meloni. La premier si prepara a trattare. L’invito a tutti i suoi interlocutori è sempre lo stesso: «Bisogna evitare di alimentare un’escalation di dazi contro dazi, perché tutti ne farebbero le spese». Il Made in Italy, dall’alimentare ai farmaci, è particolarmente esposto.La visita di J.D.Vance in Italia a Pasqua Un canale di dialogo con gli Stati Uniti potrebbe svilupparsi a metà mese. Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, ha in programma una visita a Roma e ha chiesto un incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Secondo l’agenzia Bloomberg, l’ambasciata statunitense a Roma ha comunicato al Ministero degli Affari Esteri italiano i piani del vice di Trump. «I piani sono in evoluzione e potrebbero cambiare prima di essere finalizzati», ha detto un funzionario Usa. Il programma provvisorio prevede che Vance sia a Roma dal 18 al 20 aprile (nel ponte di Pasqua) e i diplomatici statunitensi hanno chiesto alle loro controparti italiane di coordinare un incontro con la Meloni. Al momento da Palazzo Chigi non arrivano indicazioni, ma gli uffici – secondo quanto si apprende – sono al lavoro per organizzare l’incontro. Nella maggioranza e all’interno dello stesso esecutivo, la speranza è che l’eventuale faccia a faccia tra Vance e Meloni produca risultati e conduca a una “exit strategy” non troppo dolorosa per le aziende italiane.Loading…Niente eccezioni da parte degli UsaLa speranza, coltivata a lungo ai piani alti del governo, che gli Usa potessero fare eccezioni si è infranta sulla realtà. Qualche speranza di esenzioni sul vino ancora resiste. «Magari Trump colpisce solo lo champagne…», prova a scherzare un meloniano, mal celando la consapevolezza diffusa nell’esecutivo che le tariffe saranno per tutti e pesanti. Una volta valutato l’effettivo impatto sull’economia, si potrà provare poi a cambiare lo scenario trattando con l’Amministrazione americana, è la convinzione di Meloni, puntando su dialogo e diplomazia. Non in modo bilaterale, come auspicava la Lega, ma in una cornice europea. In quest’ottica, due elementi vengono letti dai suoi fedelissimi come aperture di credito: il placet della commissione Ue alle modifiche sui Cpr in Albania e, prima ancora, l’intervista di sabato al Corriere della Sera, in cui von der Leyen ha riconosciuto alla premier «un ruolo molto importante a livello europeo», definendo «positivo» il fatto che abbia «un rapporto diretto» con Trump. Le ultime parole della leader tedesca, che ha preannunciato la dura risposta europea, sono invece andate di traverso a Matteo Salvini. «Aprire guerre commerciali con gli Usa – ha sottolineato – è una scelta infelice, non fa l’interesse di nessuno». L’altro vicepremier, Antonio Tajani, ha chiarito che «non dobbiamo piegare la testa, ma neanche essere antiamericani». E che «l’Italia non può fare da sé, è competenza Ue, i dazi li fa l’Europa». Fra FI e Lega, per quanto la tregua stia reggendo, è sempre gelo. Le tensioni degli ultimi mesi rischiano di lasciare cicatrici sul governo, dove si registra anche un crescente fastidio di Meloni sulle puntualizzazioni leghiste in materia di politica estera. Così in un momento decisamente delicato, l’orizzonte del governo sembra ridursi alla primavera 2026, secondo i ragionamenti sempre più insistenti che si fanno in maggioranza. Al di là delle rassicurazioni di Salvini («Arriveremo al 2027, si metta l’anima in pace chiunque»), e degli azzurri che fanno spallucce («Noi non creiamo alcun rischio»), la convinzione diffusa nella coalizione è che ci si debba far trovar pronti per le elezioni anche fra un anno. Con l’auspicio che un centrodestra ancora più forte in Parlamento possa anche gestire la successiva partita per l’elezione del Capo dello Stato, nel 2029.I dazi spaventano anche RegioniIntanto le Regioni esprimono preoccupazione per le ricadute che i dazi Usa avranno sui territori. A partire da quelle governate dalla Lega. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, si è detto «preoccupato» e ha sottolineato come sia «importante che a livello nazionale ed europeo si intavoli subito una negoziazione con l’amministrazione statunitense. I dazi non fanno bene all’Europa e non fanno bene agli Stati Uniti». Sulla stessa scia il presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha parlato di «un giorno cruciale per l’economia mondiale. I dazi saranno il terzo cigno nero in cinque anni, dopo la pandemia e le guerre in Ucraina e Israele. L’Italia faccia valere il proprio rapporto privilegiato con gli Usa. Ho voluto approfondire i rischi che correrebbe l’economia veneta con i dazi americani, e i dati sono impressionanti: riguardo al vino, una bottiglia veneta su 5 vendute all’estero è acquistata da partner commerciali statunitensi. Si comprende facilmente quale effetto disastroso possano avere dei dazi del 20% sul fatturato delle aziende venete e italiane, perché l’export verso gli Usa vale al nostro Paese quasi 65 miliardi». Gli stessi timori sono stati espressi dal presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, sempre in quota Lega: «I dazi preoccupano le nostre aziende esportatrici. In Trentino si sente molto il rischio di un effetto negativo. Serve una presa di coscienza a livello europeo». In Trentino i settori più a rischio sono l’agroalimentare e l’automotive. Gli Usa sono il secondo mercato estero, 12% del totale, con 620 milioni di euro di esportazioni nel 2023. Il presidente della Campania Vincenzo De Luca promette un’analisi «per capire quali sono i prodotti che possono avere il danno maggiore: sicuramente l’agroalimentare, le produzioni agricole, il settore farmaceutico, la moda». Il governatore della Toscana Eugenio Giani, con una regione che ha un export verso gli Usa superiore ai 9 miliardi di euro, ha stigmatizzato quelli che ha definito «gli sbagli che l’amministrazione Trump sta facendo nel cambiare l’opinione che a livello mondiale noi oggi abbiamo degli Usa». Il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi (Forza Italia) ha condiviso «la posizione del governo italiano, del vicepresidente Tajani e del Ppe: il protezionismo non è la risposta alla competizione globale. I dazi rischiano di danneggiare filiere strategiche per il nostro territorio senza produrre benefici reali per nessuno». LEGGI TUTTO
Magi (Più Europa) vestito da fantasma alla Camera: Fontana lo espelle dall’Aula. VIDEO
Il presidente della Camera ha fato uscire dall’Aula il deputato perchè, durante il premier time, si è presentato nell’emiciclo vestito da fantasma con su la scritta “referendum”
Riccardo Magi, deputato di Più Europa, è “apparso” improvvisamente in aula alla Camera durante il question time vestito da fantasma. Magi ha fatto in tempo ad arrivare sotto i banchi dell’Esecutivo, poi è stato fermato dagli assistenti e portato di peso fuori dall’aula mentre il presidente Lorenzo Fontana lo espelleva. “Se lo ricorda presidente Meloni quando accusava i governi di silenziare i referendum? Era il 2016 e il 2022”, ha urlato Magi mentre veniva portato fuori dall’aula allapremier Meloni che, sorpresa dal fuori programma, sorrideva.
La scelta fatta da Magi di vestirsi da fantasma con su scritto “referendum” e’ stata dettata, viene spiegato, dal fatto che Più Europa non ha potuto rivolgere alla presidente del Consiglio la sua interrogazione in quanto, per regolamento, spettava all’altra componente del gruppo Misto, le minoranze linguistiche. Magi avrebbe interrogato Meloni, durante il premier time, sul referendum denunciando la mancata informazione data dalla Rai sui quesiti e sugli inviti rivolti da maggioranza e esponenti del governo a non recarsi a votare l’8 e il 9 giugno. LEGGI TUTTO
Mattarella: l’apertura dei mercati è un valore da mantenere
Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaTra Italia e Giappone c’è una «collaborazione piena basata sul rispetto e la fiducia reciproca. Sono principi e valori che auspichiamo vengano mantenuti e sviluppati nella comunità internazionale: sono quelli dell’apertura dei mercati, l’apertura alle cooperazioni vicendovoli nella consapevolezza di reciproco arricchimento e della interdipendenza che si crea e che sottolinea le condizioni per cui la pace è garantita nel mondo». Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine della sua partecipazione ad un evento alla sede di Confindustria Giappone a Tokyo alla presenza dei responsabili di imprese italiane e giapponesi.«Bene rapporti Ue-Tokyo grazie a eliminazione dazi»Il capo dello Stato ha poi sottolineato: «Oggi la integrazione tra i due mercati è sempre più stretta, grazie all’accordo di partenariato economico (Epa), siglato nel 2019 tra Tokyo e Bruxelles, che ha eliminato i dazi delle esportazioni europee verso il Giappone e viceversa, lontano da protezionismi di ritorno. L’economia giapponese, che si colloca tra le prime al mondo, si conferma così sempre più per il nostro continente interlocutore strategico, impegnata com’è anche nella costruzione di rapporti intercontinentali che sostengono la pace, la stabilità, la prosperità».Loading… LEGGI TUTTO
Dopo la svolta di Trump Meloni prudente, l’obiettivo in Usa resta zero dazi
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaL’attesa di una svolta c’era, ed è andata molto oltre le migliori previsioni: 90 giorni di sospensione dei dazi non cambiano, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, la portata della missione di Giorgia Meloni alla Casa Bianca. Che anzi, ancora più convinta, a Donald Trump chiederà di sedersi a parlare con l’Europa, con l’obiettivo che ora appare meno irrealizzabile, di creare quella grande area di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, con la formula ’zero per zero’ dazi.Lo sconcerto per le parole di TrumpLa giornata si apre tra lo sconcerto e l’imbarazzo per le parole del presidente americano, che accendono le opposizioni (la premier “abbassa la testa” e va lì “con il cappello in mano”): davanti a quell’espressione – “i leader pronti a baciarmi il culo”, che anche Matteo Salvini indica come «immagine abbastanza disgustosa» – nella maggioranza c’è chi sorride, chi non risponde, chi glissa come Antonio Tajani (“other question?”). Un tema che probabilmente i due vicepremier hanno affrontato anche con Meloni, in un confronto a tre poco prima del Consiglio dei ministri. La presa di posizione poco elegante del tycoon, assicura però il ministro degli Esteri, non cambia i programmi della premier che andrà a Washington «con la schiena dritta» a proporre di negoziare «sostenendo le posizioni europee».Loading…La diffidenza della FranciaUna precisazione più che dovuta, per il vicepremier, dopo che il ministro francese dell’Industria Marc Ferracci aveva dato voce alla diffidenza di alcune cancellerie nei confronti del viaggi della leader italiana. «Se cominciamo ad avere discussioni bilaterali il ragionamento di Ferracci, l’unità europea «rischia di spezzarsi». Parole che fanno scattare i ministri a difesa dell’azione di Roma: «Rispetto e reciprocità, cari amici francesi. Non ci sono nazioni di serie A e nazioni di serie B», dice subito il titolare degli Affari europei Tommaso Foti, chiedendosi come mai «quando il presidente Macron si reca a Washington tutto sembra andare bene, mentre quando è la Meloni ad andare invece no». Anche il titolare della Farnesina ricorda i diversi incontri del capo dell’Eliseo, convinto che i vicini d’Oltralpe «non abbiano capito lo spirito di questa missione». E nemmeno che «l’Unione europea è ben contenta che l’Italia vada a parlare per sostenere le posizioni europee».La retromarciaUna reazione che induce il governo francese a fare marcia indietro, con la portavoce Sophie Primas che assicura come non ci siano “preoccupazioni” per la visita italiana perché «tutte le voci che permettono un dialogo con gli Stati Uniti sono benvenute». Ma ora, con la frenata del presidente americano, lo scenario un poco si semplifica, si ragiona ai piani alti del governo, dove da qualche giorno sono sotto osservazione le proteste che lo stesso presidente americano sta fronteggiando in patria.Il sollievo della premierLa notizia rimbalza da Washington mentre Meloni sta andando al Quirinale per la serata di gala in onore dei reali britannici. E chi riesce a raggiungerla osserva, con un certo sollievo, che ora «non si va più con il coltello alla gola». Restano comunque le incertezze e la totale imprevedibilità delle posizioni degli Usa sulle tariffe commerciali. E se la missione nella sostanza risulta più semplice serve comunque “prudenza”. LEGGI TUTTO
POLITICA
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