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Autonomia, garantire i princìpi di solidarietà e di coesione sociale
Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaCi siamo: lunedì 20 gennaio la Corte costituzionale si riunirà per decidere sull’ammissibilità del quesito di abrogazione totale della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, dopo che l’ufficio centrale della Corte di Cassazione aveva dato il via libera al referendum a metà dicembre. L’approvazione della legge 86 il 26 giugno 2024 ha scatenato un’epica carica che da Nord a Sud in soli 3/4 giorni ha travolto il governo con migliaia di firme. Facendo a pezzi le afone banalità della stagionata meglio gioventù leghista, rendendo assordante il silenzio fuggitivo della premier, imponendo al governo, che forse ancora non se ne rende conto fino in fondo, la ricerca di una via di uscita, che non sia l’acqua fresca di patetici Osservatori sull’autonomia. Grazie a quelle firme, la Corte Costituzionale, esaminata la legge approvata in Parlamento, con chirurgica competenza e precisione, l’ha resa quel contenitore vuoto ed informe che è oggi. La scottatura brucia, in quanto espone la maggioranza ai contraccolpi di un’immanente reciproca incompatibilità, rimasta finora nel limbo che, pur sopita, è emersa con imbarazzante, logica ed evidente prospettica concretezza.Non c’è stato verso di indurre i timonieri a disinnescare le grossolane astuzie messe in atto per attuare l’Autonomia del ministro Calderoli, che già parla di rianimare il fantasma della legge 86. Invece, una via d’uscita ci sarebbe: basterebbe procedere semplicemente sui binari fissati fin dal 2009 dalla legge 42 sul federalismo fiscale, sempre a firma Calderoli, attuando finalmente l’articolo 119 della Costituzione, garantendo i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica, avendo come obiettivo il superamento del dualismo economico del Paese. Un percorso finora disertato e che proprio Calderoli, dopo il varo della legge 86/2024, prova smaccatamente a eludere e seppellire. Nessun recupero, dunque, ma la resa al buon senso per realizzare quanto previsto dalla Costituzione nel riformato titolo V del 2001. Lasciar decadere la legge 86, seppellendo quanto partorito dal Parlamento, è nell’interesse di tutti, estimatori e oppositori dell’Autonomia, a prescindere che si arrivi o meno al referendum. La volontà civica, compresa la Suprema Corte, respinge modo e metodo e chiede chiarezza e correttezza sui contenuti. Il meccanismo della legge 86, infatti è tutt’altro che rassicurante, non solo (ed è tanto!) perché costituzionalizza di fatto il criterio della spesa storica, ma perché in aggiunta incentiva e inevitabilmente attiva l’ art. 117 comma 8 perfettamente e non casualmente complementare al 116 comma 3, finalizzato al progetto (sottaciuto) di un Grande Nord Sovrano e, per reazione uguale e contraria, a legittimare un Grande Sud Sovrano, sconvolgendo tra l’altro l’intervento straordinario dell’Unione Europea, il PNRR, sull’Italia, grande malata d’Europa.Loading…Alla causa dell’Autonomia, nel rispetto della Costituzione, non giova l’astuzia e ancor meno la prepotenza. L’auspicio è che non si vada a una riscrittura di un testo che la Consulta ha reso inservibile. Ma piuttosto si attui l’articolo 119 della Costituzione, secondo l’intento solennemente dichiarato fin dal 2009, e precisamente normato dalla legge 42: è questo il contesto appropriato per affrontare il tema delle intese per l’Autonomia differenziata. Al governo sarebbe utile arrendersi al buon senso. Al popolo referendario, ebbro di gloria per la sonora lezione impartita, va detto chiaramente che, referendum o non sulla legge 86, il problema dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione, dove si prevede che «la legge ordinaria possa attribuire alle regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata», resta. Avendo, tra l’altro, il Parlamento insipientemente accantonato nel 2024 un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare di modifica dell’art. 116. Un approccio corretto impone il rigoroso rispetto dell’articolo 119 e della sua legge di attuazione. Preziosi sono i chiarimenti della Suprema Corte, in margine alla non emendabilità e alla distinzione tra funzioni e materie oggetto di intese, per calibrare il trasferimento di sovranità che la legge 86 invece presume integralmente trasferita dallo Stato alla Regione per tutte le funzioni oggetto delle intese.Di fatto si impone la scelta tra due alternative. Da un lato il federalismo liberale alla Buchanan del 119 del Titolo V, incardinato sul principio di equità e sussidiarietà orizzontale e verticale, che contempla la funzione perequativa a scala rigidamente nazionale prevista nella legge attuativa, la 42/2009. Dall’altro, l’impianto sotteso al progetto della legge 86/2024, che veste i panni di un confederalismo competitivo, a tutela di rendite posizionali a beneficio prioritario o esclusivo dei cittadini della propria Regione Sovrana. La Suprema Corte ha si impedito che a ciò arrivasse ineluttabilmente la legge 86 approvata dal Parlamento nazionale. Ma ciò non garantisce che prevalga l’alternativa di una corretta attuazione della 42/2009 e che l’autonomia non pregiudichi l’unità del Paese diviso tra un Grande Nord Sovrano e l’avventura di un Grande Sud Sovrano. Con chi dialogherebbe allora l’UE? Con l’Italia dell’articolo 1 della Costituzione o con l’Italia una e trina divisa in Macroaree sovrane?*Presidente Svimez LEGGI TUTTO
Carceri, da tre mesi manca il capo del Dap. Nordio: presto risolveremo
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaIl nome previsto per la poltrona del nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, vacante da tre mesi, rischia di creare più di un’incomprensione tra il ministero della Giustizia e il Quirinale, con palazzo Chigi in mezzo a cercare di mediare e ad attivare proprio in queste ore un’interlocuzione per uscire dall’impasse. E in quest’ottica va letta la presenza nella sede del governo del ministro Carlo Nordio, che poi garantisce: «E’ una questione che sarà risolta a breve». Attaccano i sindacati della Polizia Penitenziaria e l’opposizione: «Sul Dap il Guardasigilli è debole, ormai è commissariato».L’incidente diplomaticoAlla base dell’incidente, che già mesi fa avrebbe suscitato irritazione negli ambienti della presidenza della Repubblica, ci sarebbero le modalità sulla proposta del nome di Lina Di Domenico per la sostituzione di Giovanni Russo, che si dimise alle fine del dicembre scorso. La notizia della possibile scelta era trapelata da via Arenula prima di una qualsiasi comunicazione ufficiosa a Sergio Mattarella, nonostante spetti formalmente al capo dello Stato la scelta e dunque la firma che sancisce la nomina. Anzi, rumours ministeriali, raccontano che addirittura ci fu una richiesta al Csm di mettere Di Domenico fuori ruolo per poter ricoprire l’incarico, il tutto senza avvertire il presidente.Loading…I tre mesi di reggenza di Di DomenicoMolto prima del malinteso, la candidata del ministero era subentrata a Russo come reggente del Dap, in quanto già vice. Poi da allora si sono susseguiti tre mesi di reggenza: un’attesa fin troppo lunga e senza precedenti, che avrebbe dovuto portarla – nelle intenzioni del ministero – ad assumere pienamente quel ruolo. Ma la comunicazione formale non è mai arrivata al Quirinale dove ora sono in attesa di conoscere la nuova indicazione del governo.Il ruolo del sottosegretario DelmastroA questo punto la candidatura di Di Domenico sembra sempre di più bruciata dagli eventi, ma non solo per gli errori di forma. Secondo diversi ambienti politici, a pesare sulla vicenda sarebbe anche il fatto che quella di Di Domenico sia una nomina suggerita e supportata dal sottosegretario Andrea Delmastro, recentemente nella bufera per una serie di dichiarazioni oltre alla sua condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio sul caso dell’anarchico Cospito.Quella del nuovo capo del Dap resta una partita aperta, ma prima adesso tocca ricucire con il Quirinale. E si fa strada per il futuro, secondo quanto filtra da ambienti dello stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il nome di Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Catania ed in passato direttore generale dell’ufficio detenuti. Ma ora i sindacati attaccano: «Mai nella storia era accaduto che la debolezza di un ministro o la sua indifferenza nei confronti delle carceri abbia consentito ad un sottosegretario delegato di prendere in mano la situazione così come fa Delmastro: comanda tutto lui e dispone trasferimenti di comandanti», sostiene il segretario dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, Leo Beneduci. Accuse a cui si associa il fronte dell’opposizione: «Ancora una volta il ministro Nordio viene commissariato dal suo stesso sottosegretario», dice la dem Debora Serracchiani, mentre Ilaria Cucchi di Avs rincara: «È evidente a tutti che Delmastro non può più occuparsi del Dap. Il ministro batta un colpo». LEGGI TUTTO
Regioni, terzo mandato della discordia. Verso lo stop del Governo al prossimo Consiglio dei ministri
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaLa battaglia contro il terzo mandato non è una novità per la maggioranza, sostenuta dal partito della premier e Forza Italia. I messaggi che arrivano alla spicciolata nelle ultime ore contro l’ipotesi di un ulteriore allargamento dei termini per le candidatura di Luca Zaia esplicitano una linea di fatto già scritta. E ha un parallelo in Campania, dove “regna” Vincenzo De Luca del Pd. Nei prossimi giorni, con un ricorso alla Corte costituzionale, l’esecutivo potrebbe impugnare la legge campana che autorizzerebbe il terzo giro di De Luca, peraltro osteggiato duramente dalla leader dem Elly Schlein. I tempi sono stretti, la norma va “contrastata” al massimo entro il 10 gennaio perché la Consulta lo recepisca e abbia tempo per dare un parere.FdI, altolà dallo stato maggioreMa la questione dei governatori potrebbe essere il prossimo tallone d’Achille del centrodestra. Protagonista Luca Zaia, il leghista al timone del Veneto dal 2010 e che punterebbe a un altro quinquennio. Un netto no è arrivato da Luca Ciriani, ministro fedelissimo di Giorgia Meloni e responsabile dei rapporti con il Parlamento. In un’intervista smonta l’ipotesi e respinge la proposta della Lega di un rinvio del voto in Veneto al 2026, rispetto a quest’autunno. Difficile non vedere nella doppia frenata una scelta politica. Il partito di Ciriani, Fratelli d’Italia, non ha mai nascosto mire sul Veneto, dove da tempo ha sorpassato la Lega nei consensi. Da qui una sorta di prelazione che il ministro rivendica («mi pare impossibile pensare che non tocchi a noi indicare il nome», e «non per rivincita o rivalsa, ma per oggettività»).Loading…Le contromosse del CarroccioLa Lega non ci sta a farsi da parte, con o (più probabilmente) senza Zaia, in una roccaforte del partito. Ciriani boccia il terzo mandato dicendo che la questione si poteva affrontare in Parlamento «con una proposta di legge, magari da parte della Lega». Invece dopo un blitz tentato dai leghisti mesi fa per inserirlo in un decreto stoppato dal Parlamento, per l’esponente di FdI «ora è difficile tornare indietro». Un ragionamento «sbagliato» per i parlamentari più vicini a Matteo Salvini che ribattono: per guidare una Regione, contano più di tutto l’esperienza e la maturità di una classe dirigente, sostengono. E qualcuno nel Carroccio punzecchia che sarebbe curioso che FdI guidasse il Veneto senza avere molti sindaci lì.Ricorso al Tar in CampaniaMentre si attende la decisione dell’esecutivo sul terzo mandato alcuni consiglieri regionali della Campania (centrodestra e indipendenti) hanno deciso di ricorrere alla magistratura amministrativa per chiedere l’annullamento della seduta del Consiglio regionale nel corso della quale si è dato – a maggioranza – il via libera a De Luca per candidarsi appunto per la terza volta alla guida della Campania. In punta di diritto i ricorrenti contestano «la palese violazione e la falsa applicazione della legge in materia di regolamento interno del Consiglio regionale della Campania, oltreché degli articoli 3 e 97 della Costituzione». Fulvio Martusciello, coordinatore regionale di Forza Italia, è intervenuto dopo la nota degli esponenti del centrodestra per precisare che «sul terzo mandato la linea sarà dettata dal Governo nella seduta del 7 gennaio, in accordo con i leader nazionali». «Il Tar – aggiunge – non ha competenza sulla legittimità della legge relativa al terzo mandato, ma solo sulle procedure seguite. È importante – precisa ancora Martusciello – distinguere tra i due ambiti: quello tecnico-giuridico delle procedure e quello politico, che sarà affrontato in sede governativa». Martusciello è uno dei tre esponenti del centrodestra che hanno dato la loro disponibilità alla candidatura. Con lui, che rappresenta FI, il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, in quota FdI, e il parlamentare della Lega, Gianpiero Zinzi. La presentazione del ricorso per chiedere l’annullamento della seduta del Consiglio regionale è stata proposta dal capogruppo della Lega, Severino Nappi e condivisa da tutti i consiglieri del centrodestra. LEGGI TUTTO
Dazi Usa all’Italia, ecco come il governo Meloni si prepara a trattare con Trump e Vance
Oramai è questione di ore. L’annuncio dei nuovi dazi statunitensi è atteso per la serata di oggi, 2 aprile, e l’Italia si sta preparando all’impatto. Donald Trump ha definito questo giorno il “Liberation Day”, e si appresta a rendere noti i nuovi dazi destinati a colpire tutti quei Paesi che, a suo dire, “hanno approfittato degli Stati Uniti”. Uno scenario che apre il rischio concreto di una guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti, fonte di forte preoccupazione per tutti, governo di Giorgia Meloni incluso. Mentre i vertici della Ue promettono “vendetta” contro le tariffe Usa, la premier italiana si prepara a trattare giocando la carta del dialogo per salvaguardare l’economia nazionale. L’invito ai suoi interlocutori è chiaro: “Bisogna evitare di alimentare un’escalation di dazi contro dazi, perché tutti ne farebbero le spese”. (DAZI, OGGI L’ANNUNCIO DELLE MISURE USA)
La visita di J.D.Vance in Italia a Pasqua
Un’occasione per aprire un canale di dialogo con Washington potrebbe arrivare entro fine mese, con la visita in Italia del vicepresidente americano J.D. Vance. Secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, i diplomatici statunitensi avrebbero chiesto alle loro controparti italiane di coordinare un incontro tra Vance e la premier Meloni. Vance dovrebbe approdare a Roma dal 18 al 20 aprile. Ma “i piani sono in evoluzione e potrebbero cambiare prima di essere finalizzati”, ha detto un funzionario Usa. Palazzo Chigi, al momento, non ha commentato ufficialmente, ma fonti di governo hanno confermato l’indiscrezione. L’esecutivo guarda con ottimismo a un faccia a faccia Vance-Meloni: la speranza è che conduca a una “exit strategy” non troppo dolorosa per le aziende italiane. “Rimaniamo fiduciosi per una soluzione negoziata. Gli Usa sono un alleato storico e il problema dei dazi non deve dividerci sul piano politico, ciò nondimeno va superato sul piano diplomatico”, ha commentato all’Adnkronos il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, esponente di Fratelli d’Italia.
Meloni tra Bruxelles e Washington
La presidente del Consiglio italiana resta dunque convinta che l’unica via per evitare una guerra commerciale dannosa tanto per gli Stati Uniti quanto per l’Europa sia il dialogo. Che si parli di difesa, Ucraina o dazi, la strategia di fondo di Palazzo Chigi non cambia: “Tenere unito l’Occidente”. Un obiettivo sempre più difficile da perseguire, soprattutto dopo che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha alzato i toni contro Washington. “Non abbiamo iniziato noi questo scontro, ma siamo pronti alla rappresaglia”, ha dichiarato, in aperto contrasto con gli appelli alla prudenza rilanciati da Meloni. E anche all’interno della maggioranza emergono divergenze sulla linea da seguire. La Lega continua a spingere per una trattativa diretta tra Roma e Washington, con il segretario e vicepremier Matteo Salvini che si è schierato nuovamente contro la presidente della Commissione Ue. Più cauto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha invitato alla prudenza: “Sulle trattative non si può andare per conto proprio, tocca all’Ue trattare”.ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI SKY TG24 LEGGI TUTTO
Telemarketing selvaggio, Maerna (FdI): entro l’estate possibile riforma a tutela degli utenti
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaEstate 2025, se non intervengono altre priorità legislative. È questo l’orizzonte temporale che si prospetta per il varo, almeno in prima lettura, di nuove norme contro le telefonate commerciali indesiderate secondo il relatore delle sei proposte di legge attualmente sul tavolo delle commissioni Trasporti e Attività produttive della Camera. Ospite di Parlamento 24, Umberto Maerna (FdI) ha fatto il punto sul fenomeno delle chiamate insistenti e ripetute da parte di call center commerciali moleste – fenomeno che interessa un po’ tutti i possessori di cellulare o di una utenza telefonica fissa – e sulle possibili norme di contrasto all’attenzione del Parlamento.Al momento, le norme in esame puntano innanzitutto a introdurre nella nostra normativa sulle chiamate commerciali imperniata sul Registro delle opposizioni il cosiddetto opt-in. “Significa che si richiede il consenso esplicito del consumatore a chiamarlo, in modo che non possa mai chiamare telefonate indesiderate”, spiega Maerna. Un’altra proposta riguarda le sanzioni: far sì “che siano più severe per chi non rispetta le regole, con la cosiddetta responsabilità solidale che estende la responsabilità non solo ai counselor che effettuano le chiamate ma anche alle aziende committenti e agli operatori delle telecomunicazioni”.Loading…Nodo spoofing e formazione dei call centerTema centrale anche l’introduzione di misure contro il cosiddetto spoofing, la pratica di falsificare il numero di telefono del chiamante, fenomeno in rapida crescita a livello globale. In pratica, si tratta di evitare che sui cellulari possano arrivare chiamate sconosciute, dando al consumatore la certezza di sapere chi cerca di contattarlo. Altre proposte prevedono un rafforzamento della formazione del personale dei call center, “per garantire che siano informati sulle normative vigenti” a tutela dei cittadini e l’istituzione di un Osservatorio nazionale, “che appunto garantisca che tutto venga eseguito secondo le norme che verranno auspicabilmente approvate”.I suggerimenti di consumatori e operatoriNel corso delle ultime settimane le commissioni IX e X hanno svolto una serie di audizioni per sentire il parere delle associazioni dei consumatori, degli operatori dei call center delle imprese del settore. Nel primo caso, il principale suggerimento è quella di “introdurre l’obbligo di registrare l’intera conversazione”, obbligo da attribuire agli operatori dei call center a maggiore tutela del cittadino-cliente contro pratiche commerciali scorrette e “per evitare tagli o misunderstanding nella comprensione” della proposta commerciale. Dal fronte degli operatori di telemarketing il timore, a fronte di un riassetto normativo, riguarda “la tutela dei livelli occupazionali e di formazione dei lavoratori”. Assoutenti “ha invece suggerito di istituire un registro delle autorizzazioni, non delle opposizioni. Cioè in pratica, non io (utente, ndr) che chiamo per dire non voglio le chiamate, ma io che chiamo per segnalare; ’chiamatemi pure’”. Federconsumatori ha infine segnalato “l’urgenza di contrastare il fenomeno dello spoofing, che genera danni patrimoniali”, contro il quale occorre garantire la riconoscibilità delle numerazioni. LEGGI TUTTO
Autonomia, garantire i princìpi di solidarietà e di coesione sociale
Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaCi siamo: lunedì 20 gennaio la Corte costituzionale si riunirà per decidere sull’ammissibilità del quesito di abrogazione totale della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, dopo che l’ufficio centrale della Corte di Cassazione aveva dato il via libera al referendum a metà dicembre. L’approvazione della legge 86 il 26 giugno 2024 ha scatenato un’epica carica che da Nord a Sud in soli 3/4 giorni ha travolto il governo con migliaia di firme. Facendo a pezzi le afone banalità della stagionata meglio gioventù leghista, rendendo assordante il silenzio fuggitivo della premier, imponendo al governo, che forse ancora non se ne rende conto fino in fondo, la ricerca di una via di uscita, che non sia l’acqua fresca di patetici Osservatori sull’autonomia. Grazie a quelle firme, la Corte Costituzionale, esaminata la legge approvata in Parlamento, con chirurgica competenza e precisione, l’ha resa quel contenitore vuoto ed informe che è oggi. La scottatura brucia, in quanto espone la maggioranza ai contraccolpi di un’immanente reciproca incompatibilità, rimasta finora nel limbo che, pur sopita, è emersa con imbarazzante, logica ed evidente prospettica concretezza.Non c’è stato verso di indurre i timonieri a disinnescare le grossolane astuzie messe in atto per attuare l’Autonomia del ministro Calderoli, che già parla di rianimare il fantasma della legge 86. Invece, una via d’uscita ci sarebbe: basterebbe procedere semplicemente sui binari fissati fin dal 2009 dalla legge 42 sul federalismo fiscale, sempre a firma Calderoli, attuando finalmente l’articolo 119 della Costituzione, garantendo i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica, avendo come obiettivo il superamento del dualismo economico del Paese. Un percorso finora disertato e che proprio Calderoli, dopo il varo della legge 86/2024, prova smaccatamente a eludere e seppellire. Nessun recupero, dunque, ma la resa al buon senso per realizzare quanto previsto dalla Costituzione nel riformato titolo V del 2001. Lasciar decadere la legge 86, seppellendo quanto partorito dal Parlamento, è nell’interesse di tutti, estimatori e oppositori dell’Autonomia, a prescindere che si arrivi o meno al referendum. La volontà civica, compresa la Suprema Corte, respinge modo e metodo e chiede chiarezza e correttezza sui contenuti. Il meccanismo della legge 86, infatti è tutt’altro che rassicurante, non solo (ed è tanto!) perché costituzionalizza di fatto il criterio della spesa storica, ma perché in aggiunta incentiva e inevitabilmente attiva l’ art. 117 comma 8 perfettamente e non casualmente complementare al 116 comma 3, finalizzato al progetto (sottaciuto) di un Grande Nord Sovrano e, per reazione uguale e contraria, a legittimare un Grande Sud Sovrano, sconvolgendo tra l’altro l’intervento straordinario dell’Unione Europea, il PNRR, sull’Italia, grande malata d’Europa.Loading…Alla causa dell’Autonomia, nel rispetto della Costituzione, non giova l’astuzia e ancor meno la prepotenza. L’auspicio è che non si vada a una riscrittura di un testo che la Consulta ha reso inservibile. Ma piuttosto si attui l’articolo 119 della Costituzione, secondo l’intento solennemente dichiarato fin dal 2009, e precisamente normato dalla legge 42: è questo il contesto appropriato per affrontare il tema delle intese per l’Autonomia differenziata. Al governo sarebbe utile arrendersi al buon senso. Al popolo referendario, ebbro di gloria per la sonora lezione impartita, va detto chiaramente che, referendum o non sulla legge 86, il problema dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione, dove si prevede che «la legge ordinaria possa attribuire alle regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata», resta. Avendo, tra l’altro, il Parlamento insipientemente accantonato nel 2024 un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare di modifica dell’art. 116. Un approccio corretto impone il rigoroso rispetto dell’articolo 119 e della sua legge di attuazione. Preziosi sono i chiarimenti della Suprema Corte, in margine alla non emendabilità e alla distinzione tra funzioni e materie oggetto di intese, per calibrare il trasferimento di sovranità che la legge 86 invece presume integralmente trasferita dallo Stato alla Regione per tutte le funzioni oggetto delle intese.Di fatto si impone la scelta tra due alternative. Da un lato il federalismo liberale alla Buchanan del 119 del Titolo V, incardinato sul principio di equità e sussidiarietà orizzontale e verticale, che contempla la funzione perequativa a scala rigidamente nazionale prevista nella legge attuativa, la 42/2009. Dall’altro, l’impianto sotteso al progetto della legge 86/2024, che veste i panni di un confederalismo competitivo, a tutela di rendite posizionali a beneficio prioritario o esclusivo dei cittadini della propria Regione Sovrana. La Suprema Corte ha si impedito che a ciò arrivasse ineluttabilmente la legge 86 approvata dal Parlamento nazionale. Ma ciò non garantisce che prevalga l’alternativa di una corretta attuazione della 42/2009 e che l’autonomia non pregiudichi l’unità del Paese diviso tra un Grande Nord Sovrano e l’avventura di un Grande Sud Sovrano. Con chi dialogherebbe allora l’UE? Con l’Italia dell’articolo 1 della Costituzione o con l’Italia una e trina divisa in Macroaree sovrane?*Presidente Svimez LEGGI TUTTO
Carceri, da tre mesi manca il capo del Dap. Nordio: presto risolveremo
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaIl nome previsto per la poltrona del nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, vacante da tre mesi, rischia di creare più di un’incomprensione tra il ministero della Giustizia e il Quirinale, con palazzo Chigi in mezzo a cercare di mediare e ad attivare proprio in queste ore un’interlocuzione per uscire dall’impasse. E in quest’ottica va letta la presenza nella sede del governo del ministro Carlo Nordio, che poi garantisce: «E’ una questione che sarà risolta a breve». Attaccano i sindacati della Polizia Penitenziaria e l’opposizione: «Sul Dap il Guardasigilli è debole, ormai è commissariato».L’incidente diplomaticoAlla base dell’incidente, che già mesi fa avrebbe suscitato irritazione negli ambienti della presidenza della Repubblica, ci sarebbero le modalità sulla proposta del nome di Lina Di Domenico per la sostituzione di Giovanni Russo, che si dimise alle fine del dicembre scorso. La notizia della possibile scelta era trapelata da via Arenula prima di una qualsiasi comunicazione ufficiosa a Sergio Mattarella, nonostante spetti formalmente al capo dello Stato la scelta e dunque la firma che sancisce la nomina. Anzi, rumours ministeriali, raccontano che addirittura ci fu una richiesta al Csm di mettere Di Domenico fuori ruolo per poter ricoprire l’incarico, il tutto senza avvertire il presidente.Loading…I tre mesi di reggenza di Di DomenicoMolto prima del malinteso, la candidata del ministero era subentrata a Russo come reggente del Dap, in quanto già vice. Poi da allora si sono susseguiti tre mesi di reggenza: un’attesa fin troppo lunga e senza precedenti, che avrebbe dovuto portarla – nelle intenzioni del ministero – ad assumere pienamente quel ruolo. Ma la comunicazione formale non è mai arrivata al Quirinale dove ora sono in attesa di conoscere la nuova indicazione del governo.Il ruolo del sottosegretario DelmastroA questo punto la candidatura di Di Domenico sembra sempre di più bruciata dagli eventi, ma non solo per gli errori di forma. Secondo diversi ambienti politici, a pesare sulla vicenda sarebbe anche il fatto che quella di Di Domenico sia una nomina suggerita e supportata dal sottosegretario Andrea Delmastro, recentemente nella bufera per una serie di dichiarazioni oltre alla sua condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio sul caso dell’anarchico Cospito.Quella del nuovo capo del Dap resta una partita aperta, ma prima adesso tocca ricucire con il Quirinale. E si fa strada per il futuro, secondo quanto filtra da ambienti dello stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il nome di Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Catania ed in passato direttore generale dell’ufficio detenuti. Ma ora i sindacati attaccano: «Mai nella storia era accaduto che la debolezza di un ministro o la sua indifferenza nei confronti delle carceri abbia consentito ad un sottosegretario delegato di prendere in mano la situazione così come fa Delmastro: comanda tutto lui e dispone trasferimenti di comandanti», sostiene il segretario dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, Leo Beneduci. Accuse a cui si associa il fronte dell’opposizione: «Ancora una volta il ministro Nordio viene commissariato dal suo stesso sottosegretario», dice la dem Debora Serracchiani, mentre Ilaria Cucchi di Avs rincara: «È evidente a tutti che Delmastro non può più occuparsi del Dap. Il ministro batta un colpo». LEGGI TUTTO
POLITICA
Congresso Lega, Salvini: “Siamo il collante del governo”. Capigruppo: “Chieda il Viminale”
M5s, la tiktoker De Crescenzo al corteo: “Mi voglio candidare, non posso dire con chi”
Salvini: Dazi Usa, meglio il dialogo che la guerra. Ora cambiare le politiche suicide della Ue
Tajani sui dazi: “Gli imprenditori non devono scappare dall’Italia”