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    Dovremmo vietare i fornelli a gas?

    Caricamento playerDa qualche settimana negli Stati Uniti si sta discutendo molto di fornelli a gas, della loro sicurezza e dei potenziali rischi che comportano per la salute. Il confronto è nato in seguito ad alcune dichiarazioni di Richard Trumka, un membro della Commissione che si occupa della sicurezza dei prodotti di largo consumo, che ha ipotizzato l’adozione di nuove regole per i sistemi di cottura a gas, che sono presenti nel 35 per cento circa delle abitazioni statunitensi.Le opinioni di Trumka, espresse a livello personale, sono circolate molto sui social network, finendo nel dibattito politico e generando qualche confusione. Negli Stati Uniti non è prevista una imminente messa al bando dei piani a cottura a gas, ma la vicenda ha contribuito a rendere attuale e discusso un argomento su cui da tempo si confrontano ricercatori e medici.Eredi delle stufe a legna e a carbone, i fornelli a gas iniziarono ad affermarsi in Inghilterra negli ultimi decenni dell’Ottocento, complice la progressiva diffusione dei gasdotti che raggiungevano le abitazioni e gli edifici commerciali. Furono poi necessari diversi decenni prima che diventassero comuni in Europa e negli Stati Uniti, dove per ragioni di distanza e difficoltà nel costruire gasdotti molto estesi sarebbero poi prevalsi altri sistemi, come i fornelli elettrici o le vecchie stufe. Oggi le cucine a gas continuano a essere molto diffuse in Europa, in particolare nei paesi dell’est. Si stima che più del 30 per cento dell’energia utilizzata nell’Unione Europea per cuocere gli alimenti derivi dal gas naturale. Il largo utilizzo ha fatto sì che nel tempo ne siano state analizzate le caratteristiche per capire se i fornelli a gas siano nocivi per chi li utilizza normalmente.Oltre all’anidride carbonica, i prodotti derivanti dalla combustione del gas comprendono il diossido di azoto (NO2) e polveri sottili, sostanze che si possono trovare anche nei gas di scarico del traffico veicolare. Nelle proprie linee guida più recenti, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha indicato 10 microgrammi di NO2 per metro cubo come limite per la qualità dell’aria. In una cucina si sviluppa una concentrazione di NO2 molto più alta quando si utilizzano i fornelli a gas, ma è comunque difficile determinare se questa condizione abbia conseguenze concrete per la salute.Nell’aprile del 2022 un gruppo di ricerca aveva pubblicato i risultati di uno studio effettuato su 5mila abitazioni per rilevare e analizzare le sostanze inquinanti presenti in casa. Nelle abitazioni dove erano presenti fornelli a gas, e in cui non c’erano cappe aspiranti, era stata osservata una maggiore incidenza di persone con problemi respiratori e quantità più alte nel sangue dei marcatori associati a infiammazioni (ciò non implica necessariamente che si sviluppino poi particolari malattie).Altri studi si erano concentrati sulle cucine professionali, come quelle dei ristoranti, dove alcune variabili possono essere tenute più facilmente sotto controllo, essendoci norme e regole di sicurezza. Anche queste ricerche avevano rilevato la presenza di problemi respiratori in maggiori quantità nelle cucine che utilizzavano il gas, rispetto a quelle che impiegavano piastre elettriche o a induzione.Ci sono invece elementi un poco più chiari su possibili legami tra l’inalazione di sostanze come il NO2 e l’asma infantile, i cui sintomi tendono a peggiorare. Tra le numerose ricerche che se ne sono occupate, una pubblicata alla fine del 2022 e svolta negli Stati Uniti ha ottenuto grande attenzione ed è una delle cause del recente dibattito statunitense sui fornelli a gas. Il gruppo di ricerca ha calcolato la quantità di persone sotto i 18 anni che vivono in abitazioni dove si utilizzano piani cottura di quel tipo, concludendo che il 12,7 per cento dei casi di asma infantile possano essere attribuiti alla presenza di fornelli a gas nelle abitazioni.Secondo lo studio, passando a piani cottura di altro tipo si potrebbero ridurre di un quinto i casi di asma infantile in numerosi luoghi degli Stati Uniti dove sono più diffusi i fornelli a gas come l’Illinois, la California e lo stato di New York. La ricerca ha ricevuto grandi attenzioni e qualche titolo sensazionalistico, ma come spiegano gli stessi autori ci sono molti elementi da approfondire per valutare eventuali impatti e, di conseguenza, studiare le strategie per ridurre il problema.Intervistato da Bloomberg Trumka, il commissario statunitense, ha espresso opinioni alquanto nette sui fornelli: «Sono un pericolo nascosto. Non escludiamo nessuna possibilità. I prodotti che non possono diventare sicuri possono essere vietati». Lo scorso ottobre Trumka aveva provato a impegnare la Commissione a scrivere nuove regole per i fornelli a gas, senza però ottenere l’assenso da parte degli altri quattro commissari. La Commissione di cui fa parte Trumka è indipendente e la presidenza degli Stati Uniti ha chiarito che non ci sono piani per vietare i fornelli a gas.Nonostante le smentite, vari esponenti politici soprattutto tra i Repubblicani hanno mostrato una certa inquietudine per le dichiarazioni di Trumka, così come vari portatori d’interessi legati ai combustibili fossili. Il presidente dell’American Petroleum Institute, Mike Sommers, ha detto che non ci potrà essere un divieto e che eventuali restrizioni sarebbero male accolte dalla popolazione: «le persone amano i loro fornelli».Ultimamente alcuni stati e amministrazioni statunitensi hanno intanto introdotto limitazioni all’impiego dei fornelli a gas, richiedendo che gli edifici di nuova costruzione non siano collegati ai gasdotti. La legge sull’inflazione proposta da Biden e approvata dal Congresso la scorsa estate, che contiene moltissime voci per la transizione ecologica, prevede finanziamenti e incentivi per chi passa a piani cottura elettrici e che non utilizzano il gas, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra.In Europa, dove i riscaldamenti e i fornelli a gas sono molto più diffusi, il dibattito è passato finora sotto traccia, senza avere grande riscontri né da parte della politica né della popolazione. Solo alcuni paesi hanno avviato iniziative legate a ridurre la propria dipendenza dal gas naturale, sia per motivi ambientali, sia economici e di salute pubblica. Come in parte degli Stati Uniti, anche in Danimarca e nei Paesi Bassi ci sono limitazioni per i collegamenti alla rete del gas delle case di nuova costruzione, mentre altri paesi hanno in programma piani simili.In seguito all’invasione russa dell’Ucraina e alla conseguente crisi energetica, lo scorso anno la Commissione Europea ha intensificato i propri piani per ridurre la dipendenza dal gas naturale, in particolare da quello russo. Le motivazioni sono sia economiche sia ambientali, considerato l’impatto ambientale derivante dalla combustione del gas, mentre non ne sono state presentate di natura sanitaria.I regolamenti dell’Unione Europea prevedono già numerose norme per i produttori di fornelli a gas, compresi requisiti minimi sulla loro sicurezza. Per esempio, «gli apparecchi vanno progettati e fabbricati in modo che, se usati normalmente, il processo di combustione sia stabile e i prodotti della combustione non contengano concentrazioni inaccettabili di sostanze nocive alla salute». I rischi non sono comunque legati alla sola combustione. Fornelli mal funzionanti o con guarnizioni usurate possono portare a microperdite di gas, difficili da rilevare, ma che possono comunque essere inalate e per lunghi periodi di tempo.La Commissione è al lavoro per introdurre nuove regole sulle emissioni nocive, ma al momento non si è parlato esplicitamente di fornelli a gas. Come negli Stati Uniti, un passaggio ai piani cottura elettrici e a induzione potrebbe incontrare resistenze, specialmente nei paesi dove l’impiego domestico del gas naturale è molto diffuso sia per il riscaldamento sia per la cottura degli alimenti. L’abbandono dei fornelli a gas comporterebbe inoltre un maggiore consumo di energia elettrica e non tutti i paesi europei sarebbero da subito attrezzati per rispondere adeguatamente alla maggiore richiesta. LEGGI TUTTO

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    Lo strato di ozono si sta riformando

    Secondo un nuovo rapporto realizzato da Nazioni Unite, Unione Europea e Stati Uniti, lo strato di ozono che avvolge la Terra si sta rigenerando, in particolare sopra l’Antartide dove a metà anni Ottanta ne era stata rilevata una preoccupante riduzione poi nota popolarmente come “buco nell’ozono”. I risultati recenti sono dovuti a un importante trattato internazionale che fu sottoscritto a Montreal, in Canada, nel 1987. Il rapporto da poco pubblicato dice che, se si continuerà a rispettare i termini dell’accordo, entro poche decine di anni la fascia di ozono potrebbe tornare a livelli normali con importanti benefici per l’ambiente.L’ozono è un gas che avvolge la Terra e che la protegge dai raggi ultravioletti dannosi del Sole. In quantità eccessive, questi possono causare seri problemi di salute a noi e alle altre specie animali, a cominciare da un aumentato rischio di sviluppare alcuni tipi di tumori, e hanno effetti anche sulle piante e di conseguenza sulle coltivazioni. Intorno al 1985, un gruppo di ricerca aveva scoperto che a 22 chilometri di altezza sopra i ghiacci dell’Antartide l’ozono si era fortemente rarefatto, comportando la formazione di una sorta di “buco” dal quale filtravano molto più facilmente le radiazioni solari dannose. Negli anni seguenti, ulteriori analisi avrebbero rilevato una riduzione dello strato di ozono al Polo Nord e in numerose altre aree del pianeta, seppure con una portata inferiore rispetto a quanto osservato in Antartide.Studi e analisi consentirono di identificare piuttosto rapidamente i colpevoli: i clorofluorocarburi (CFC), sostanze sviluppate a partire dagli anni Trenta del Novecento e molto utilizzati come refrigeranti nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria, ma anche come gas da impiegare all’interno delle bombolette spray. Avevano avuto un grande successo perché non erano infiammabili ed erano molto meno tossici delle sostanze impiegate in precedenza. Da alcuni studi era però emerso come un eccessivo accumulo di CFC nell’atmosfera potesse incidere sui livelli di ozono. Le prime ricerche in tema risalivano agli anni Sessanta e Settanta, ma la prospettiva di rinunciare ai CFC non piaceva a numerosi settori industriali, di conseguenza il loro impiego continuò ancora per qualche anno.Grazie alle insistenze da parte dei ricercatori e alle pressioni degli attivisti, alla fine degli anni Settanta in paesi come Stati Uniti, Canada, Norvegia, Svezia e Danimarca furono approvati i primi regolamenti che limitavano o vietavano del tutto l’impiego dei CFC. Una decina di anni dopo, il trattato di Montreal portò a un importante accordo per regolare la produzione e l’utilizzo dei CFC in tutto il mondo, con la prospettiva di eliminarli del tutto insieme agli idroclorofluorocarburi (HCFC), altre sostanze dannose per l’ozono. Furono sostituiti con gli idrofluorocarburi (HFC), innocui per l’ozono, ma che si sarebbe poi scoperto contribuiscono all’effetto serra e per questo sono ora in fase di abbandono.– Ascolta anche: La storia del buco nell’ozono, raccontata in “Ci vuole una scienza”Negli anni successivi all’accordo di Montreal, l’assottigliamento dello strato di ozono iniziò a ridursi in buona parte del pianeta, mentre sopra l’Antartide iniziò a farlo solamente a partire dal 2000. Secondo il nuovo rapporto, agli attuali ritmi di ripristino, in una ventina di anni i livelli di ozono dovrebbero tornare ai valori dei primi anni Ottanta in tutto il mondo, fatta eccezione per le aree polari. L’area di ozono sull’Artico impiegherà qualche anno in più, almeno fino al 2045, mentre per quella sopra l’Antartide occorrerà attendere il 2066.Good news from #AMS2023: The ozone layer is on track to recover within four decades.Press release ➡️ https://t.co/htPbNDJ9VUExecutive summary ➡️ https://t.co/yO6o2dVOd3Partners 🤝🏽 @UNEP, @NOAA, @NASA, @EU_Commission pic.twitter.com/03FY2TQHPo— World Meteorological Organization (@WMO) January 9, 2023Il rapporto ricorda che i risultati raggiunti sono molto importanti, ma che i progressi delle nuove previsioni non devono essere dati per scontati. Negli scorsi anni è accaduto più volte che fossero rilevate tracce di CFC e altri gas dannosi per l’ozono nell’atmosfera. Queste emissioni possono derivare dall’impiego di vecchi impianti refrigeranti ancora dotati di CFC, ma anche da attività industriali che prevedono l’impiego di gas refrigeranti.Un aumento preoccupante era stato rilevato alcuni anni fa in Cina, portando la comunità internazionale a fare pressioni nei confronti del governo cinese per applicare più severamente i divieti. Vicende di questo tipo hanno portato a un lieve rallentamento nel processo di ripristino dei corretti livelli di ozono, ma non lo hanno comunque messo completamente a rischio.La perdita di ozono è rischiosa a causa della maggiore quantità di radiazione solare che filtra attraverso l’atmosfera, ma non ha un effetto diretto particolare per quanto riguarda il riscaldamento globale. Tuttavia, varie ricerche e analisi hanno mostrato come il trattato di Montreal abbia contribuito a eliminare l’impiego di altri gas con un marcato effetto serra. L’accordo è inoltre la dimostrazione della capacità della comunità internazionale di affrontare un problema globale ed è spesso segnalato come un esempio virtuoso da seguire nello sviluppo delle politiche internazionali per affrontare la crisi climatica. LEGGI TUTTO