Dopo le accuse lanciate dalla trasmissione Report, si è riaccesa la polemica attorno al Garante per la protezione dei dati personali. Le opposizioni hanno chiesto l’azzeramento dell’Autorità, ma il presidente Pasquale Stanzione, parlando con con il TG1 ha escluso le dimissioni: “Il collegio non presenterà le proprie dimissioni, le accuse sono totalmente infondate”. Stanzione ha anche criticato le pressioni politiche, sostenendo che “quando la politica grida allo scioglimento o alle dimissioni dell’Autorità non è più credibile”. Nel frattempo, nel centrosinistra cresce l’idea di modificare le regole per la nomina dei membri del Garante: il costituzionalista Stefano Ceccanti ha proposto un quorum dei tre quinti del Parlamento, sostenuto anche da Angelo Bonelli (Avs), mentre il centrodestra respinge l’ipotesi. La polemica è nata dal “caso Report”, che ha accusato alcuni componenti dell’Autorità di contiguità con la politica e di conflitti d’interesse, in particolare Agostino Ghiglia, legato a Fratelli d’Italia.
Lo scontro politico
Tra i fautori di un cambiamento c’è il senatore Pd Dario Parrini, che propone di introdurre una maggioranza qualificata per la nomina, come già avviene per la Corte Costituzionale o il Csm. Parrini ha ricordato che gli attuali membri furono eletti con percentuali inferiori al 40% degli aventi diritto, segno – secondo lui – della necessità di un consenso più ampio. Le opposizioni, da Giuseppe Conte a Stefano Patuanelli, insistono sull’azzeramento dell’Autorità, ma il governo e il Parlamento non hanno potere di intervento: eventuali dimissioni possono arrivare solo dai diretti interessati. Come ha spiegato il giurista Roberto Zaccaria, “l’unica ipotesi è che la maggioranza dei componenti, tre su quattro, si dimetta”. L’eurodeputato Sandro Ruotolo (Pd) definisce la situazione “paradossale”, invocando prima un passo indietro e poi una revisione della legge che disciplina la nomina del Garante.

