Nell’industria delle telecomunicazioni speravano di ricevere notizie positive dalla legge di bilancio. Ma, salvo colpi di scena, i recenti emendamenti presentati con primo firmatario Erik Umberto Pretto, che avrebbe incluso le società del settore tra quelle energivore – e quindi con sconti sulle bollette attraverso l’annullamento degli oneri di sistema e con un credito d’imposta del 35% sul quantitativo di energia acquistata e consumata – non saranno inclusi tra le misure segnalate da parte dei gruppi parlamentari. Significa che probabilmente finiranno su un binario morto, anche perché i due interventi non sono a costo zero e prevedono una copertura finanziaria (800 milioni divisi su 2024 e 2025). Il tutto, nell’ambito di una manovra che, a causa dei vincoli europei e della pesante eredità dei bonus edilizi, avrà un margine stretto per le modifiche. Sta di fatto che risulta strano che le tlc già prima non fossero considerate energivore: basti pensare che la vecchia Tim, con ancora la rete in pancia, consumava l’1% del fabbisogno italiano.
Allo stesso modo, sono restati al palo gli emendamenti al Ddl Concorrenza sul famoso fair share, vale a dire il contributo che i giganti della tecnologia (da Google a Meta, fino a Netflix e Amazon) dovrebbero riconoscere alle aziende che scommettono sull’ampliamento dell’infrastruttura di rete accollandosi spese esose. In questo caso, in ambito governativo c’è chi spinge per varare fin da subito una legge a livello nazionale: in tal senso, il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha presentato un emendamento al Dl Fiscale con l’introduzione di un contributo (da concordate attraverso un negoziato obbligatorio) alle nuove reti da parte dei cosiddetti gatekeepers, ossia la lista di giganti del web stilata dalla Commissione europea nell’ambito del Digital markets Act. Allo stesso modo, si è detto favorevole anche il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. Esiste tra le fila dell’esecutivo, tuttavia, anche chi pensa che un approccio come quello del fair share «non è utile per il sistema paese e non è utile per quello che insieme vogliamo fare in prospettiva europea». È di questo avviso il sottosegretario con delega all’innovazione Alessio Butti, che sul tema pensa semmai sarebbe necessaria un’iniziativa a livello europeo, coordinata tra tutti i Paesi e non singole sortite a livello domestico.
Sembra inoltre che non vedranno la luce nemmeno gli emendamenti che prevedevano il rinnovo non oneroso «delle autorizzazioni per i diritti d’uso di frequenze per l’offerta di servizi di comunicazione elettronica» che vanno verso la scadenza del 2029, a patto che si presentasse un piano di investimenti per potenziare la copertura di territori disagiati.
Sta di fatto che, un po’ per mancanza di un’intesa e un po’ per ristrettezze di bilancio, il cruciale settore delle telecomunicazioni rischia di finire un’altra volta a bocca asciutta.
E il fastidio è diffuso, dal momento che nei prossimi anni saranno necessari ingenti investimenti, essendo atteso un aumento esponenziale dei dati. Per di più nell’ambito di un settore che, in Italia, è tuttora danneggiato da scelte europee sulla concorrenza decisamente poco felici.