Mentre il ceo Giuseppe Castagna scrive ai dipendenti, lanciando l’allarme su possibili tagli a oltre il 30% del personale di Piazza Meda, negli ambienti finanziari si fa strada la vera ragione dell’assalto di Unicredit al fortino di Banco Bpm. Dietro la mossa ardita di Andrea Orcel c’è in realtà la volontà di mettere le mani su Anima. Gli indizi sono più di uno, a partire dalla tempistica dell’Ops, arrivata a meno di tre settimane di distanza dall’annuncio dell’Opa di Bpm sulla società del risparmio gestito.
Unicredit ha bisogno di generare più commissioni essendo rimasta orfana di Pioneer, ceduta nel 2017 ad Amundi a un prezzo di saldo (3,5 miliardi) dal suo predecessore Jean Pierre Mustier. All’epoca si cercò di mantenere Pioneer in Italia, ma Amundi riuscì ad avere la meglio sulla cordata di investitori nazionali (che comprendeva Poste e la stessa Anima). Unicredit contestualmente siglò un accordo decennale di distribuzione con il gestore francese e Orcel due anni fa ha dichiarato che potrebbe non rinnovarlo (la scadenza è nel 2027). Rapporti tra Unicredit e Amundi resi più complicati dal fatto che i francesi siano controllati da Credit Agricole, che due anni fa ha messo piede in Bpm diventando primo azionista con il 10%.
Per questo Anima rappresenta l’obiettivo su misura per Piazza Gae Aulenti, ad oggi orfana di una fabbrica prodotto. Tuttavia, l’azionariato di Anima risulta blindato. Infatti, quasi il 50% del capitale è nelle mani di soci forti, a partire proprio da Bpm con il 22,4%, seguita da Poste con quasi il 12%, dal fondo FSI guidato da Maurizio Tamagnini con il 9,8% e da Francesco Gaetano Caltagirone che ha quasi il 3,5% attraverso Gamma, oltre al 3% circa di azioni proprie. L’unica via per provare ad accaparrarsi la fabbrica prodotto guidata da Alessandro Melzi d’Eril, quindi, era lanciare un’Ops sul suo principale azionista, ossia Bpm. L’attivismo di Castagna, che il 6 novembre ha lanciato l’Opa su Anima per delistarla, ha generato la stretta necessità di Unicredit di muoversi repentinamente per non rimanere tagliata fuori dalla partita per il player tricolore da oltre 200 miliardi di patrimonio gestito.
Questo spiega sia la tempistica dell’offerta che il premio quasi nullo. Infatti, l’intento principale in questa fase era posizionarsi e sbarrare la strada ad altri attori potenzialmente interessati, vedi i francesi di Credit Agricole, soci al 9% di Bpm. Dagli ambienti finanziari filtra chiaro il sentore che Orcel temesse fortemente che i francesi muovessero sullo stesso obiettivo andando a creare un superpolo del risparmio gestito con Amundi. Contestualmente l’Ops ha bloccato il nascente terzo polo che andava costituendosi tra Bpm, Banca Mps e la stessa Anima (dopo Bpm, il secondo distributore dei fondi Anima è proprio la banca di Siena).
Sotto scacco di Unicredit, il cda di Piazza Meda non può rilanciare in autonomia su Anima e neanche acquistare ulteriori pacchetti di Siena. Lo stesso ceo di Unicredit ha comunque sgombrato il campo da insinuazioni su possibili secondi fini, ossia non è nei suoi piani assicurarsi il controllo di Rocca Salimbeni: una conferma che l’obiettivop è Anima.
Intanto Castagna non accenna ad abbassare la guardia. Anzi, se possibile le barricate sono più alte. Dopo che il cda di Piazza Meda ha bollato come «ostile» e «inadeguata» l’offerta, il banchiere napoletano ha scritto ai dipendenti palesando «forte preoccupazione» per le sinergie di costo stimate da Unicredit, pari a oltre un terzo della base costi di Banco Bpm «che, si può stimare, significherebbe tagli al personale di oltre 6mila colleghe e colleghi».
Oltre all’allarme sulle ricadute occupazionali, la lettera di Castagna ribadisce le criticità già esplicitate dal cda della banca: «Abbiamo il vantaggio di essere presenti in aree tra le più dinamiche del Paese e dell’Eurozona e l’Ops esporrebbe gli stakeholder della nostra banca a una significativa diluizione di tale presenza a favore di aree caratterizzate da una minore crescita e da un maggiore rischio geopolitico. L’offerta, inoltre, in conseguenza della normativa sulle Opa, rischia di limitare l’autonomia strategica del management anche con riferimento alle condizioni dell’operazione su Anima Holding».