Che botta per Stellantis. Il «bancomat» Usa, dall’epoca di Fca alimentatore dei conti del gruppo, è rimasto a secco. Risultato? Stellantis certifica ufficialmente il problema annunciando il taglio delle stime e, come reazione immediata, considerando anche il momento difficile del settore auto nel suo complesso, le azioni crollano del 15%, a 12,41 euro.
Le nuove previsioni di chiusura d’anno, dopo un primo semestre deludente (utili netti in calo del 48% e ricavi giù del 14%) vedono ora un margine risultato operativo adjusted tra il 5,5% e il 7% rispetto al precedente double digit, «una riduzione correlata per circa due terzi alle azioni correttive negli Usa, mentre altri fattori includono vendite inferiori alle attese nel secondo semestre in diverse regioni», spiega una nota. C’è poi il free cash flow industriale, visto in un range tra -5 e -10 miliardi sul precedente positive. Altra causa del profit warning riguarda «le dinamiche competitive che si sono intensificate per effetto sia della maggiore offerta sia dell’accresciuta concorrenza cinese». Questo allarme ha provocato, nella sola seduta di ieri, una perdita di 8,6 miliardi nella galassia della holding Exor, controllata dalla famiglia Agnelli, di cui circa 6,5 miliardi da addebitare al gruppo guidato da Carlos Tavares. Stellantis, che nella prima parte del 2024 ha visto scendere le vendite americane intorno al 16%, punta ora ad accelerare sul rilancio delle attività Usa, con l’obiettivo di portare le giacenze non oltre i 300mila veicoli già entro l’anno. Il tutto nel contesto di una riduzione delle consegne alla rete di 200mila automezzi da qui a dicembre rispetto al 2023, il doppio del previsto. Inoltre, a pesare sul mercato Usa sono anche le incertezze economiche e politiche, i tassi e i prezzi elevati.
Per Stellantis la situazione complessa negli Usa, con la missione obbligata di riavviare il fondamentale «bancomat» di quel mercato, si aggiunge a quella in Europa e soprattutto in Italia dove il 18 ottobre i sindacati hanno organizzato una imponente manifestazione di protesta a Roma. A intervenire, con un’analisi, sulla crisi del settore (anche Volkswagen, Bmw e Mercedes hanno rivisto le stime), è Gianluca Di Loreto, di Bain & Company, che punta il dito sulle scelte politiche legate agli obiettivi di decarbonizzazione. «Se l’Ue – afferma – dice che devo decarbonizzare, che devo farlo entro il 2035 e con le vetture elettriche, è come sostituirsi agli imprenditori». Da qui l’azione a Bruxelles, di questi giorni, del ministro Adolfo Urso affinché si arrivi a una revisione completa dell’agenda allo scopo di evitare il collasso dell’industria. E i dazi anti Cina? Per Di Loreto «devono essere una soluzione temporanea, altrimenti non possono da soli sostituirsi a una competitività strutturale».
Da parte sua, l’ad Tavares, il cui contratto scadrà a inizio 2026, vista
la situazione potrebbe riconsiderare i piani del gruppo. Scelte impopolari in vista, anche sui marchi della galassia? C’è chi non esclude questa ipotesi. Volkswagen, del resto, si è data due anni per assicurarsi un futuro.