La parole di Carlo Messina sulla partita Generali-Natixis assumono un significato più chiaro a ogni ora che passa. Il capo di Intesa Sanpaolo si era detto contrario a che Cdp si schierasse a fianco di Generali in caso di manovre finanziarie sul suo capitale, a meno che non avesse elementi per ritenere tali manovre pregiudizievoli della «sicurezza nazionale». Probabilmente Messina sapeva che l’idea di una trattativa in atto tra i francesi di Natixis e il Leone di Trieste per un’alleanza nel risparmio gestito era più che una semplice idea. E ieri Il Sole 24 Ore ne ha dato conto come qualcosa che è già sui tavoli degli advisor. Ma prima di entrare nel vivo dei particolari è bene precisare che al momento il rischio paventato non sembra alle viste, visto che le caretteristiche dell’operazione allo studio sono ben diverse da quella realizzata nel 2017 da Unicredit con Amundi, ovvero un trasferimento tout court delle masse gestite da Pioneer (circa 230 miliardi) sotto il cappello straniero. Qui, invece, si tratterebbe di un’alleanza alla pari, della quale almeno per i primi cinque anni il gruppo guidato da Philippe Donnet sceglierebbe l’amministratore delegato (che dovrebbe essere Woody Bradford, il ceo della controllata Conning) e quindi ne determinerebbe le strategie e dove investire i denari raccolti dai clienti. In breve, secondo le anticipazioni del Sole 24 Ore, non smentite dai due gruppi e ritenute verosimili da più fonti finanziarie, l’architettura dell’affare prevede che Generali Investment Holding (di cui Trieste ha l’84% e Cathay il 16%) avrebbe il 50% mentre il colosso transalpino del risparmio gestito avrebbe l’altro 50%. In trasparenza, quindi, il Leone deterrebbe il 42%. Va precisato che degli 840 miliardi di asset detenuti da Trieste, solo una parte verrebbe aggregata ai 1.200 miliardi affidati a Natixis. Nella nuova società, Generali sposterebbe solo 650 miliardi. Tra quanto trapela, la compagnia italiana potrebbe portare in dote ulteriori 15 miliardi di nuova produzione per consentire alla holding di Trieste di raggiungere il 50% della nuova piattaforma. Non dovrebbe apparire strano che, nonostante Natixis apporti più masse gestite, alla fine le redini vengano lasciate in mano a Generali. Da una parte, infatti, c’è un gestore di fondi, in un settore che subisce pressioni sui margini e che richiede le grandi dimensioni per rimanere in piedi (non è un caso che Axa abbia venduto il suo asset management e che anche Allianz ci stia pensando); dall’altra, invece, c’è una compagnia di assicurazioni e asset management che non solo ha i suoi prodotti, ma ha anche una corposa rete di distribuzione. Inoltre, nel perimetro del Leone c’è anche una casa come Banca Generali, con un’invidiabile rete di consulenti finanziari. In poche parole: un business che alla fine garantisce più redditività. Sta di fatto che, analogamente a quanto sta avvenendo nel mondo bancario, se questo affare andrà veramente in porto scatenerà un effetto domino capace di generare operazioni a catena tra i big del risparmio. A quel punto, infatti, nessuno potrebbe permettersi di rimanere indietro per non ritrovarsi preda. Tornando però alla vicenda Generali-Natixis, le autorità italiane sicuramente alzeranno le antenne sul dossier.
La trattativa probabilmente non avrà tempi brevi e andranno visionati contratti e clausole, dal momento che il risparmio degli italiani nei forzieri di Generali (che è sicuramente ingente) è un asset strategico e una questione da non prendere alla leggera. Va da sé che eventuali rischi di eccessive concessioni all’estero potrebbero finire nel mirino del golden power.